Distorsioni di caviglia

Uno dei casi che più spesso arrivano presso lo studio di un professionista della salute sono i pazienti con esiti di distorsioni tibiotarsiche.

Nella maggior parte dei casi (85%) la distorsione avviene in inversione, quindi la pianta del piede viene a rivolgersi troppo verso l’interno e le strutture mio-legamentose laterali della caviglia vengono eccessivamente sollecitate.

La sollecitazione meccanica viene assorbita principalmente dal compartimento legamentoso laterale della caviglia, che può essere schematicamente diviso in tre parti:

  • legamento peroneoastragalico anteriore (LPAA)
  • legamento peroneocalcaneare (LPC)
  • legamento peroneo astragalico posteriore (LPAP).

Dato che il movimento di inversione è la combinazione tridimensionale di plantiflessione e supinazione la distorsione colpisce solitamente prima il legamento peroneo astragalico anteriore, poi il legamento peroneocalcaneare e in seguito il legamento peroneoastragalico posteriore; nel caso ci sia la necessità di dissipare ancora più energia la lesione può anche arrivare a coinvolgere la parte ossea laterale, quindi il malleolo laterale.

Come si definisce se una disfunzione è più o meno grave?? Appena dopo il trauma distorsivo il luogo dove indagare il problema è sicuramente il pronto soccorso; il personale sanitario valuterà in base alla clinica se eseguire o meno una radiografia o altri esami diagnostici (il protocollo di valutazione Ottawa da indicazioni ben precise); eseguita la visita in pronto soccorso il paziente uscirà con una diagnosi, un’indicazione terapeutica (farmacologica e/o conservativa e/o chirurgica) e un’indicazione prognostica (che è la previsione dei tempi di recupero).

Nei casi più lievi, dove la distorsione articolare coinvolge solo parzialmente le fibre muscolari del LPAA, il decorso è solitamente benigno; nella maggior parte dei casi infatti la caviglia potrà tornare nell’arco di una ventina di giorni alle normali attività di vita; un consiglio utile però è quello di fare attenzione al recupero della dorsiflessione; un recupero incompleto della dorsiflessione infatti predispone a future ulteriori distorsioni in inversione (in plantiflessione la caviglia è meno stabile, in quanto c’è meno coerenza articolare e contenimento legamentoso; la postura dove invece la caviglia è più stabile è l’eversione, dove la coerenza articolare e la stabilità legamentosa sono ai massimi livelli).

Nei casi più gravi, dove la lesione abbia coinvolto in maniera importante diversi legamenti, sarà invece l’ortopedico a valutare se il paziente può arrivare a un buon recupero solo con approccio conservativo (riposo-farmaci-riabilitazione) o è indicato un approccio chirurgico di stabilizzazione.

Nel caso delle distorsioni tibiotarsiche lievi il recupero è sempre uguale?

Anche se le immagini radiologiche ed ecografiche mostrano che la lesione è lieve non sempre il recupero avviene nei medesimi tempi.

Il piede è un sistema complesso: 26 ossa, più di 50 muscoli classificati, sistema arterioso, sistema venoso, sistema linfatico, sistema sensitivo-sensoriale, ecc.  In fase acutissima in PS si devono escludere lesioni strutturali importanti che possono generare gravi instabilità; in fase cronica, quindi passati 20-30 giorni dal trauma, possono permanere dei dolori al carico, anche in assenza di lesioni strutturali obiettivabili tramite la diagnostica per immagini; i sintomi possono essere legati alla perdita di mobilita di piccole articolazioni a livello del medio e dell’avampiede; sono artrodie, quindi articolazioni dove in fisiologia non sono presenti importanti gradi di movimento; ma se quei piccoli movimenti vengono persi possono nascere dolori difficilmente trascurabili.

A seguito di un evento distorsivo il corpo può porre automaticamente alcuni segmenti articolari nella condizione di movimento limitato; questa è di per se un buon stratagemma in fase acuta in quanto un articolazione messa nelle condizioni di ipomobilità può facilitare una riparazione/cicatrizzazione efficace; le cose però possono cambiare nel momento in cui questa condizione di ipomobilità si protrae nel tempo; si può instaurare un circolo vizioso dove l’articolazione non torna alla mobilità originale.

Il fisioterapista con formazione specifica nel campo della terapia manuale e/o osteopatica è la figura più indicata per recuperare questi piccoli, ma importantissimi gradi di movimento; piccoli movimenti ma utili alla dissipazione dell’energia cinetica che deve essere ammortizzata a ogni passo o a seguito dell’atterraggio dopo un gesto atletico. Quando tutte le articolazioni del piede traumatizzato avranno recuperato una mobilità paragonabile a quella dell’altro piede potrà essere affrontato invece il recupero della forza e della sensibilità propriocettiva (nello sportivo fondamentale è il lavoro a fianco dell’allenatore o del personal trainer).

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